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Tumore al seno

Tumore al seno

Il tumore della mammella è la neoplasia più frequente tra le donne, rappresentando in Italia il 30% di tutte le nuove diagnosi di tumore. Tuttavia, l’anticipazione della diagnosi e l’introduzione di protocolli terapeutici chirurgici, radioterapici e farmacologici più efficaci, hanno contribuito in maniera cumulativa al miglioramento della sopravvivenza, con livelli che si collocano intorno all’87% a 5 anni dalla diagnosi, al netto delle altre cause di morte.

Dal punto di vista assistenziale, l’approccio più appropriato si è dimostrato essere quello delle “Breast unit”, unità multidisciplinari specializzate nella prevenzione, diagnosi e trattamento medico e chirurgico della patologia senologica, che consentono una pianificazione ottimale delle opzioni terapeutiche disponibili, al fine di raggiungere i migliori risultati possibili.

La Breast unit dello IOV, in particolare, è costituita da diverse equipe che includono le seguenti figure professionali: chirurgo senologo, radiologo, oncologo medico, radioterapista, anatomo-patologo, chirurgo plastico, specialista in medicina fisica e riabilitativa, fisioterapista, genetista, medico nucleare, case manager e psiconcologo. La Breast unit accompagna la paziente nel suo percorso di cura, sollevandola dalle difficoltà di individuare i medici di riferimento e di programmare gli accessi ospedalieri per visite ed esami, minimizzando i tempi di attesa.

Epidemiologia e fattori di rischio

Si stima che in Italia nel 2019 siano stati diagnosticati circa 53.000 casi di carcinomi della mammella I tumori della mammella rappresentano la neoplasia più frequentemente diagnosticata tra le donne in tutte le fasce di età: 40% tra le donne di età inferiore a 49 anni; 35% tra i 50 e 69 anni, 22% dopo i 70 anni.

La curva di incidenza cresce fino ai 50-55 anni e poi rallenta con un plateau dopo la menopausa, per poi riprendere a salire dopo i 60 anni. Il rischio di sviluppare un tumore della mammella è di 1 donna ogni 9, con differenze per fasce di età: il rischio è 1/40 nelle giovani, 1/20 nelle adulte e 1/25 nelle anziane. Le più recenti stime indicano che in Italia vivono circa 800.000 donne che hanno avuto, nel corso della vita, una diagnosi di tumore della mammella.

Sebbene le cause del carcinoma mammario non siano ancora ben note, sono stati identificati vari fattori di rischio tra cui:

  • l’età: la maggior parte dei casi, come detto, viene diagnosticata in donne di età superiore a 50 anni; tale fattore risulta legato soprattutto all’esposizione continua e progressiva allo stimolo ormonale;
  • fattori ormonali: il menarca precoce, la prima gravidanza dopo i 30 anni, la menopausa tardiva, la nulliparità, il mancato allattamento al seno, l’assunzione continuativa prolungata di contraccettivi orali o di terapia ormonale sostitutiva in menopausa;
  • stile di vita: l’elevato consumo di alcool, il fumo, il ridotto consumo di fibre e l’aumentato consumo di grassi animali, la sedentarietà e l’obesità;
  • pregressa esposizione a radioterapia toracica;
  • storia di displasie o neoplasie mammarie;
  • familiarità: anche se la maggioranza delle neoplasie mammarie sono forme sporadiche, circa il 5-7% dei tumori può essere correlato ad una predisposizione genetica ormai ben conosciuta. Vi sono infatti alcune mutazioni genetiche che predispongono a questo tipo di neoplasia (oltre alla neoplasia ovarica e ad altre più rare). Le più note sono quelle a carico dei geni oncosoppressori BRCA-1 e BRCA-2 da cui dipende il 50% circa delle forme ereditarie di cancro del seno. Va specificato che in questi casi si eredita solo la predisposizione alla malattia e non la malattia stessa.

Prevenzione

Come accennato in precedenza, vi è una correlazione tra obesità e rischio di sviluppare una neoplasia mammaria. Si conferma, pertanto, l’importanza di adottare uno stile di vita sano, in particolare avere un’alimentazione sana e corretta, secondo le regole della dieta mediterranea, mantenere sotto controllo il peso e praticare attività sportiva con regolarità.

La diagnosi precoce è oggi sempre più frequente grazie all’avvio di programmi di screening nelle fasce di età raccomandate, cioè nelle donne tra i 50 e i 75 anni. In caso di sospetto all’indagine mammografica, seguiranno ulteriori accertamenti diagnostici quali l’ecografia mammaria o, in casi selezionati, la risonanza magnetica mammaria.
Non va dimenticata, infine, l’autopalpazione.

Sintomi

La maggior parte delle neoplasie mammarie sono riscontrate in forme iniziali e sono del tutto asintomatiche.

In assenza di una diagnosi precoce il primo sintomo che la donna percepisce è la presenza di un nodulo che, alla palpazione, presenta una consistenza diversa rispetto al tessuto mammario circostante, sano. Altri segni di sospetto sono la retrazione cutanea e del capezzolo, le secrezioni siero-ematiche dal capezzolo e la comparsa di cute a buccia d’arancia, l’aumento di volume della mammella, le ulcerazioni cutanee, la presenza di linfonodi ascellari o del collo ingranditi, duri e fissi.

Più raramente la neoplasia mammaria, se non diagnosticata precocemente, si manifesta con i sintomi legati alle metastasi a distanza (dolore osseo, tosse, febbre, ittero, etc).

Diagnosi

L’esame clinico strumentale delle mammelle, che comprende visita senologica, mammografia ed ecografia, è l’indagine principale nella diagnosi del tumore della mammella. In alcuni casi specifici, ad esempio in caso di mammelle molto dense o lesioni difficili da classificare, è possibile ricorrere in seconda battuta alla risonanza magnetica.

Se vengono riscontrate formazioni nodulari sospette si esegue, tramite ago-biopsia, un prelievo di tessuto per l’esame istologico al fine di porre una diagnosi corretta e, in caso di riscontro di neoplasia mammaria, valutare le sue caratteristiche biologiche per un’adeguata definizione del successivo percorso diagnostico-terapeutico.

Stadio di malattia

La stadiazione consiste nel classificare le patologie tumorali in base a parametri che ne descrivono l’estensione. Il sistema più utilizzato è il TNM dove T descrive le dimensioni del tumore, N lo stato linfonodale e M la presenza di metastasi a distanza.

Nello specifico, il carcinoma mammario si distingue in forme non invasive, che non si estendono oltre la membrana basale dei dotti mammari, e in forme invasive, capaci di estendersi oltre i dotti e raggiungere le stazioni linfonodali o altre parti del corpo. Questi gli stadi di malattia:

  • stadio I: è un tumore in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi dell’ascella;
  • stadio II: è un tumore in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro con coinvolgimento dei linfonodi ascellari, oppure un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi;
  • stadio III: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, che ha coinvolto i linfonodi ascellari e/o locoregionali, oppure che coinvolge i tessuti vicini alla ghiandola mammaria (per esempio la cute);
  • stadio IV: è un tumore avanzato che ha coinvolto altri organi al di fuori della mammella.

Lo stadio del carcinoma mammario viene definito sulla base dell’esame clinico strumentale delle mammelle, dell’esame istologico e di una valutazione radiologica del torace e dell’addome attraverso radiografia del torace ed ecografia dell’addome, oppure tomografia assiale computerizzata (TAC) o PET/TAC, cui si aggiunge la scintigrafia ossea in casi selezionati.

Tipi di carcinoma mammario

La prognosi e il trattamento sono determinati dallo stadio della neoplasia al momento della diagnosi, ma anche dal sottotipo istologico/molecolare. Esistono, infatti, diversi tipi di carcinoma della mammella (istologicamente la forma più frequente è il carcinoma duttale infiltrante; altre forme sono il carcinoma lobulare, il tubulare, il mucinoso e altri più rari) che differiscono per comportamento biologico e risposta alle terapie.

  • La gran parte dei tumori della mammella presenta un’espressione dei recettori ormonali (estrogeni e progesterone) e questo si associa a un comportamento meno aggressivo e alla possibilità di utilizzare la terapia ormonale come opzione terapeutica.
  • I sottotipi con iperespressione della proteina HER2 si accompagnano a una maggiore aggressività del tumore ma possono beneficiare di trattamenti bersaglio di ultima generazione (anticorpi monoclonali e inibitori tirosin-chinasi anti-HER2).
  • Il sottotipo non ormonosensibile e privo di amplificazione di HER2 (triplo negativo) è quello più complesso; anche per esso, tuttavia, si stanno aprendo nuove opzioni di trattamento immunoterapico in aggiunta ai chemioterapici tradizionali.

Cura

Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili includono la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, l’ormonoterapia e le terapie biologiche, da sole o in combinazione. Nella scelta del tipo di trattamento incidono numerosi fattori: il sottotipo molecolare, lo stadio di malattia, la presenza di altre patologie associate, l’età della paziente e, non ultimo, le preferenze della paziente in relazione ai possibili effetti collaterali dei farmaci utili, le sue esigenze lavorative e familiari, il suo desiderio di poter eventualmente avere dei figli dopo le cure. Alcune delle terapie sopracitate possono, infatti, indurre menopausa precoce; per tale motivo, alle pazienti in età fertile che manifestano il desiderio di avere in futuro una gravidanza, vengono proposte, qualora possibile, procedure finalizzate a preservare la fertilità e la funzione ovarica (come la crioconservazione degli ovociti prelevati prima dell’inizio delle cure e il trattamento con analoghi del fattore LHRH).

Chirurgia

La chirurgia nel tumore della mammella ha compiuto negli anni progressi notevolissimi, passando dai primi interventi mutilanti ai recenti interventi, detti “conservativi”, che mirano ad asportare solo la massa tumorale, preservando il più possibile la ghiandola residua e il muscolo sottostante, con significativi vantaggi anche dal punto di vista estetico. Questa tecnica, chiamata quadrantectomia, è seguita da un trattamento radioterapico per proteggere la restante ghiandola mammaria da future recidive di malattia o dall’insorgenza di una nuova neoplasia mammaria.

Allo IOV la scelta del tipo di chirurgia è sempre il risultato di una discussione multidisciplinare al fine di garantire il miglior compromesso tra radicalità oncologica e qualità del risultato estetico.
Nel caso in cui il chirurgo debba eseguire un intervento di tipo demolitivo (mastectomia) è possibile la contestuale ricostruzione chirurgica con il posizionamento di espansore/protesi, evitando lo stress di un nuovo intervento e garantendo un miglior recupero.

Durante l’intervento il chirurgo procede, inoltre, con l’asportazione di uno o più linfonodi dell’ascella. Per sapere se questi sono coinvolti viene spesso utilizzata la tecnica del linfonodo sentinella che identifica il primo linfonodo che drena la linfa dall’area tumorale. Se il linfonodo sentinella contiene cellule tumorali l’intervento può essere completato con l’asportazione di altri linfonodi ascellari.

Radioterapia

Nelle pazienti affette da neoplasia mammaria la radioterapia viene utilizzata dopo la chirurgia per eliminare eventuali cellule tumorali residue e ridurre così il rischio di una recidiva loco-regionale o d’insorgenza di una nuova neoplasia mammaria. Si distingue in radioterapia a fasci esterni e IORT, cioè radioterapia intraoperatoria, che si esegue in casi selezionati.

La radioterapia è raccomandata in caso di chirurgia conservativa, ma anche in caso di mastectomia se il tumore supera i 5 centimetri di dimensione e quando le cellule tumorali sono presenti in molti linfonodi. L’irradiazione può, quindi, riguardare la mammella residua, la parete toracica e le stazioni linfonodali dell’ascella e del collo.

Chemioterapia

La chemioterapia consiste nella somministrazione, per via endovenosa o per via orale, di farmaci che attraverso la circolazione sanguigna possono raggiungere e distruggere le cellule tumorali. La finalità del trattamento varia in funzione dello stadio della malattia:

  • nello stadio iniziale la chemioterapia ha un intento adiuvante, cioè mira a ridurre il rischio di recidiva di malattia a livello sia locale sia sistemico, rischio determinato dalla possibile diffusione di cellule tumorali prima dell’asportazione della neoplasia mammaria. I regimi più utilizzati sono quelli contenenti antracicline e taxani per una durata di circa 4-6 mesi. Non tutte le pazienti con malattia in fase iniziale necessitano di chemioterapia; tale scelta dipende dalle caratteristiche biologiche della neoplasia evidenziate dall’esame istologico e da un’attenta valutazione dei rapporti rischio-beneficio.
  • Le pazienti che presentano una neoplasia operabile ma al momento non suscettibile di chirurgia conservativa, a causa delle dimensioni della neoplasia o del coinvolgimento linfonodale, possono essere avviate ad un trattamento chemioterapico preoperatorio definito neoadiuvante. Anche le pazienti con malattia localmente avanzata, cioè che in prima battuta non può essere rimossa chirurgicamente, possono essere avviate al trattamento chemioterapico al fine di raggiungere l’operabilità.
  • Nella malattia avanzata o metastatica la chemioterapia rappresenta uno strumento prezioso per controllare i disturbi causati dalla malattia e prolungare la sopravvivenza ed è compito dell’oncologo ottimizzare la sequenza dei possibili trattamenti al fine di raggiungere i migliori risultati di efficacia con i minori effetti collaterali e garantendo il rispetto della qualità di vita.

Ormonoterapia

La terapia ormonale consiste nella somministrazione di farmaci che interferiscono con l’attività e la produzione degli ormoni femminili ritenuti responsabili della progressione del tumore mammario. L’ormonoterapia è efficace nelle pazienti con tumori ormono-sensibili, ovvero che esprimono i recettori per l’estrogeno e/o il progesterone sulla superficie delle cellule tumorali. I farmaci attualmente più utilizzati sono il tamoxifene e gli inibitori dell’aromatasi, eventualmente associati in premenopausa agli agenti LHRH analoghi, e il fulvestrant.

Terapie biologiche

Negli ultimi anni sono stati sviluppati farmaci, chiamati anticorpi monoclonali, capaci di colpire solo le cellule tumorali, agendo su un bersaglio espresso selettivamente su di esse. Il Trastuzumab, utilizzato in combinazione con la chemioterapia nelle pazienti con neoplasia della mammella HER2 positiva, ha contributo a migliorare significativamente la prognosi e la sopravvivenza di queste pazienti È un farmaco ben tollerato ma in rari casi può causare un danno cardiaco, di solito di lieve entità e reversibile dopo la sospensione del trattamento. Durante il trattamento si effettua pertanto un monitoraggio periodico della funzionalità cardiaca.
Successivamente sono stati introdotti anche Lapatinib, Pertuzumab e TDM-1, Altri farmaci che hanno come bersaglio molecolare HER2.

Gli inibitori delle chinasi ciclina dipendenti 4/6 come Abemaciclib, Palbociclib e Ribociclib sono emersi di recente come nuova opzione terapeutica nelle pazienti con neoplasia della mammella in stadio IV a recettori ormonali positivi e HER2 negativo; si tratta di farmaci che hanno mostrato una notevole efficacia clinica e bassi profili di tossicità e che vengono utilizzati in associazione alla terapia ormonale. Un altro farmaco che viene combinato alla terapia ormonale per potenziarne l’efficacia è everolimus.

La terapia con gli inibitori degli enzimi poli (ADP-ribosio) polimerasi (PARP-1, PARP-2 e PARP-3) può essere un’opzione per pazienti con mutazione del gene BRCA1 o 2; in Italia al momento questi farmaci sono a disposizione all’interno di programmi ad uso compassionevole.

Infine, un campo di notevole interesse e di rapidissimo sviluppo nella terapia del carcinoma mammario, soprattutto quello di tipo “triplo negativo”, è quello dell’immunoterapia, attraverso anticorpi monoclonali (anti-PD1 e anti-PDL-1) che sono capaci di bloccare quei meccanismi molecolari attraverso cui il tumore resiste alla difesa del sistema immunitario.

Follow up

Il follow up oncologico dopo trattamento ad intento curativo per carcinoma mammario è finalizzato alla diagnosi precoce di ripresa della malattia, alla valutazione dell’aderenza all’eventuale trattamento ormonale adiuvante, alla valutazione degli esiti e degli effetti collaterali dei farmaci. Le linee guida nazionali raccomandano periodiche visite ambulatoriali ed esecuzione dell’esame clinico strumentale delle mammelle a cadenza annuale. L’utilizzo dei marcatori e di altri esami stadiativi viene riservato ai casi ad elevato rischio di ricaduta. Durante il periodo di follow up specialistico (in genere fino a 5 anni dalla diagnosi o comunque fino al termine dell’eventuale terapia ormonale) è inoltre compito del medico promuovere uno stile di vita sano.

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