La colecisti, o cistifellea, è un piccolo organo posto appena al di sotto del fegato il cui ruolo principale consiste nel concentrare e immagazzinare la bile prodotta dal fegato e necessaria per la digestione dei grassi. I dotti biliari si sviluppano all'interno del fegato e confluiscono in rami sempre maggiori fino a dare il dotto epatico al quale la colecisti si collega tramite il dotto cistico.
I tumori delle vie biliari originano dalle cellule che rivestono questi dotti o le pareti della cistifellea. Oltre l’80% di questi tumori è rappresentato da adenocarcinomi, rare le altre istologie (tumori papillari, adenocarcinomi mucinosi, carcinomi adeno-squamosi o squamosi). Tali neoplasie possono quindi svilupparsi sia dalle vie biliari presenti all’interno sia all’esterno del fegato (neoplasie intra- ed extra-epatiche).
Si tratta di malattie rare, che rappresentano circa lo 0.8 per cento di tutte le neoplasie negli uomini e l’1.6% nelle donne, con un’incidenza in Italia di circa 8-10 casi ogni 100 mila abitanti, e colpiscono prevalentemente soggetti di età compresa tra i 50 e i 80 anni. In molti casi questi tumori vengono diagnosticati in fase avanzata.
I principali fattori di rischio per questa patologia sono:
Per questi tumori non esiste una riconosciuta strategia di prevenzione. Ciò non toglie che adottare uno stile di vita sano (evitare il fumo, tenere una dieta equilibrata, il controllo del peso) possa contribuire alla prevenzione di questa rara malattia.
A seconda della loro sede, questi tumori possono determinare un’ostruzione al deflusso della bile che si rende responsabile di una serie di sintomi, tra cui la tipica colorazione gialla della pelle e degli occhi (ittero), la presenza di feci chiare e urine scure, prurito, perdita di appetito e di peso, febbre, dolori addominali, nausea e vomito, stanchezza.
Gli esami per la diagnosi consentono di caratterizzare la malattia dal punto di vista cellulare e di stabilirne l’origine mentre la stadiazione permette di definire l’estensione di malattia sia a livello locale che a distanza. Vengono individuati 4 stadi sulla base dei criteri "TNM" che tengono conto della grandezza del tumore (T), dell'eventuale coinvolgimento dei linfonodi loco-regionali (N) e della presenza di metastasi a distanza (M). Essi comprendono:
La gestione della diagnosi e della terapia viene condivisa da un gruppo multidisciplinare che comprende radiologo, chirurgo, oncologo, radioterapista, gastroenterologo, medico nucleare, epatologo, anatomo-patologo. La terapia del colangiocarcinoma varia a seconda delle condizioni generali del paziente, degli esami ematochimici, della sede e dell’estensione del tumore. La terapia di scelta è rappresentata dalla chirurgia, che però non può essere attuata nelle diagnosi in fase avanzata. In questo caso il paziente deve essere valutato per chemioterapia, radioterapia e/o drenaggio delle vie biliari.
Per i tumori delle vie biliari che si localizzano all’interno del fegato una chirurgia conservativa può essere in grado di rimuovere in modo completo la neoplasia senza compromettere la riserva funzionale dell’organo. Diversamente, per i tumori della confluenza biliare può essere necessaria un’importante asportazione di tessuto epatico, cui va associata la rimozione della via biliare che mette in comunicazione fegato e intestino (duodeno) oltre che dei linfonodi adiacenti. A causa della complessità dell’operazione, i pazienti devono essere accuratamente preparati e tali interventi dovrebbero essere eseguiti in centri altamente specializzati.
Gli attuali regimi chemioterapici per la cura dei tumori delle vie biliari offrono la possibilità di rallentare la progressione della malattia, quando questa non è operabile, diminuire i sintomi e migliorare la qualità di vita. Generalmente vengono utilizzati regimi di chemioterapia che prevedono l’utilizzo di uno o più farmaci (gemcitabina, derivati del platino, fluoro pirimidine, etc.) somministrati per via endovenosa e caratterizzati da una buona tollerabilità. La prognosi del paziente dipende dalla sensibilità del tumore ai farmaci somministrati e alla risposta che si riesce ad ottenere. La chemioterapia talvolta viene inoltre utilizzata dopo l’intervento chirurgico per ridurre il rischio di possibili recidive.
I pazienti non candidabili alla chirurgia possono essere trattati con radioterapia, concomitante o meno alla chemioterapia. Il ruolo della radioterapia è indicato solo in casi selezionati: può limitare l’estensione locale della malattia anche per ridurne i sintomi, in caso di disturbi correlati alla compressione o infiltrazione degli organi sani vicini. Con le nuove tecniche a disposizione, quali la radioterapia a modulazione d’intensità (IMRT), vi è la possibilità di erogare dosi più elevate di radiazioni con minori effetti collaterali.
Viene posizionato allo scopo di ridurre l’ittero, consentendo al paziente una migliore qualità di vita. La procedura può avere carattere pre-operatorio o anche palliativo.
Questi trattamenti, in parte ancora in fase sperimentale, prevedono principalmente la chemio/embolizzazione (TACE, TAE, DEB-TACE) effettuata con l’infusione intrarteriosa di microsfere precaricate con farmaci chemioterapici. Altri approcci, come la termoablazione con radiofrequenza (RFA), sono riservati a casi selezionati. L’indicazione a trattamenti di questo genere è data sempre nell’ambito del gruppo multidisciplinare dopo discussione collegiale.
Un adeguato follow up dopo trattamento radicale consente di identificare precocemente una eventuale recidiva suscettibile di trattamento.
I controlli includono esame clinico, esami ematochimici ed esami strumentali con periodicità stabilita dal curante sulla base dello stadio della malattia, dei trattamenti eseguiti e dell'eventuale sintomatologia del paziente.
Nella malattia avanzata, l’attivazione precoce delle cure simultanee permette una gestione multidimensionale e multidisciplinare (tra oncologo, nutrizionista, palliativista e psicologo), per la gestione dei sintomi e l’individuazione dei bisogni del paziente e della famiglia in un’ottica di continuum terapeutico nei vari setting assistenziali (ambulatorio, day-hospital o reparti di degenza, hospices e cure palliative domiciliari) e nelle varie fasi evolutive della malattia.
Una delle attività dell’Istituto Oncologico Veneto consiste nel disegno e nello sviluppo di protocolli di ricerca clinica. Si tratta dell’utilizzo controllato di nuovi farmaci o strategie terapeutiche non ancora approvate ufficialmente. Tali protocolli possono prevedere l’utilizzo di nuove molecole di diversa origine, come chemioterapici o farmaci biologici, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare tipico di un preciso tipo di neoplasia (farmaci “intelligenti”). Per avere maggiori informazioni e capire quali protocolli possono essere adatti al proprio caso, è opportuno che il paziente si rivolga al proprio medico di fiducia.
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