Il tumore del canale anale origina nei tessuti cutanei e mucosi perianali, la forma più comune è rappresentata dal carcinoma squamoso mentre altri istotipi sono più rari (adenocarcinomi, melanomi). Rappresenta circa il 3-4 per cento di tutti i tumori del tratto gastro-enterico basso. La sopravvivenza complessiva a 5 anni è elevata e pari al 70-80 per cento.
I principali fattori di rischio per lo sviluppo del tumore del canale anale sono:
Generalmente i sintomi sono correlati alla sede del tumore – prurito, perdite siero-mucose, dolore, sanguinamento – e spesso vengono attribuiti dai pazienti a patologie ano-rettali più comuni quali ragadi ed emorroidi. La difficoltà ad evacuare e l’incontinenza fecale generalmente si associa alle forme localmente più avanzate. Possono inoltre insorgere, a seconda dello stadio della malattia, sintomi generali come stanchezza, inappetenza, febbricola, perdita di peso.
Gli esami per la diagnosi consentono di caratterizzare la malattia dal punto di vista cellulare e di stabilirne l’origine mentre la stadiazione permette di definire l’estensione di malattia sia a livello locale che a distanza. Vengono individuati 4 stadi sulla base dei criteri "TNM" che tengono conto della grandezza del tumore (T), dell'eventuale coinvolgimento dei linfonodi loco-regionali (N) e della presenza di metastasi a distanza (M). Essi comprendono:
La gestione delle neoplasie squamose del canale anale richiede la competenza di diverse figure specialistiche (patologo, oncologo medico, chirurgo, medico nucleare, radiologo, radioterapista, psicologo) ed è cruciale che – come avviene allo IOV – tali figure cooperino nell’ambito di un gruppo multidisciplinare dedicato che stabilisca una strategia terapeutica globale adatta al singolo paziente.
La terapia varia a seconda delle condizioni generali del paziente, delle comorbilità (in particolare la presenza di infezione da HIV, insuffiìcienza renale, cardiopatie), degli esami ematochimici, della sede e dell’estensione del tumore. L’obiettivo è la preservazione degli sfinteri laddove possibile.
L’indicazione è in funzione dell’estensione della malattia. Nelle forme più iniziali, dove la neoplasia è < 2 cm, si limita agli strati più superficiali e non sono riconoscibili linfonodi malati, l’escissione locale della lesione può essere sicura e curativa e rappresentare pertanto la strategia di scelta.
La chirurgia con l’amputazione addomino-perineale (che comporta il sacrificio dello sfintere e la stomia permanente) viene riservata solo nel caso si osservi un residuo di malattia dopo trattamento radio-chemioterapico (RTCT) oppure in caso di recidive che si sviluppano dopo una risposta completa alla RTCT.
Talvolta può essere utile il confezionamento di una stomia di protezione a scopo palliativo.
La RTCT esclusiva rappresenta il trattamento di scelta nei tumori localizzati che non possono essere candidati ad una escissione locale (stadio II e III). La chemioterapia con mitomicina e fluoropirimidine (5-fluorouracile o capecitabina orale) associata alla radioterapia esterna rappresenta ad oggi lo standard di trattamento. Questo trattamento multimodale consente una remissione completa della malattia in una percentuale elevata di pazienti. Può anche essere considerato nei casi di escissione locale non completa laddove non sia possibile un allargamento chirurgico. Con le nuove tecniche a disposizione, quali la radioterapia a modulazione d’intensità (IMRT), vi è la possibilità di erogare dosi più elevate di radiazioni con minori effetti collaterali. La brachiterapia può avere un ruolo in casi selezionati.
Nei pazienti che presentino metastasi a distanza, o in caso di recidiva locale non asportabile chirurgicamente, la chemioterapia rappresenta il trattamento di scelta. Le opzioni terapeutiche in questa patologia sono purtroppo, ad oggi, ancora limitate. I farmaci che più spesso vengono utilizzati sono rappresentati dai derivati del platino (cisplatino), fluoropirimidine (5-fluorouracile, capecitabina orale); taxani o l’irinotecano possono essere considerati.
Un adeguato follow up consente di identificare precocemente una eventuale recidiva loco-regionale, ma anche di gestire gli effetti collaterali tardivi del trattamento radiante sulle vie urinarie, sull'intestino e sulle funzioni sessuali.
I controlli includono esame clinico, esami ematochimici ed esami strumentali con periodicità stabilita dal curante sulla base dello stadio della malattia, dei trattamenti eseguiti e dell'eventuale sintomatologia del paziente.
Una delle attività dell’Istituto Oncologico Veneto consiste nel disegno e nello sviluppo di protocolli di ricerca clinica. Si tratta dell’utilizzo controllato di nuovi farmaci o strategie terapeutiche non ancora approvate ufficialmente. Tali protocolli possono prevedere l’utilizzo di nuove molecole di diversa origine, come chemioterapici o farmaci biologici, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare tipico di un preciso tipo di neoplasia (farmaci “intelligenti”). Per avere maggiori informazioni e capire quali protocolli possono essere adatti al proprio caso, è opportuno che il paziente si rivolga al proprio medico di fiducia.
Nella malattia avanzata, l’attivazione precoce delle cure simultanee permette una gestione multidimensionale e multidisciplinare (tra oncologo, nutrizionista, palliativista e psicologo), per la gestione dei sintomi e l’individuazione dei bisogni del paziente e della famiglia in un’ottica di continuum terapeutico nei vari setting assistenziali (ambulatorio, day-hospital o reparti di degenza, hospices e cure palliative domiciliari) e nelle varie fasi evolutive della malattia.
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