La metodica è innovativa: consente l’ablazione di piccoli tumori pancreatici evitando, in alcuni casi, l’intervento chirurgico. Di fatto la lesione cancerosa viene “bruciata” con un ago bollente guidato mediante l’ecoendoscopia. Si tratta della radiofrequenza ecoendo-guidata, eseguita per la prima volta allo IOV dall’équipe della UOC Gastroenterologia, diretta dal Dott. Alberto Fantin, su una donna obesa di 57 anni.
La paziente era stata precedentemente sottoposta a intervento chirurgico di nefrectomia sinistra per un carcinoma a cellule chiare del rene, diagnosticato in seguito alla comparsa di ematuria. Durante la stadiazione oncologica, è stata riscontrata anche una piccola lesione solida della testa del pancreas che, sottoposta dapprima a biopsia mediante esame ecoendoscopico, si è rivelata essere una metastasi del tumore renale. Una riunione multidisciplinare tra gastroenterologi endoscopisti, oncologi, chirurghi e radiologi ha valutato collegialmente quale fosse l’opzione terapeutica più appropriata per la paziente, scegliendo quindi una metodica “sartoriale”, un trattamento applicabile in casi particolari e selezionati.
«Alla signora, affetta anche da una grave obesità, che la esponeva ad alti rischi in caso di intervento chirurgico sul pancreas, a seguito di discussione multidisciplinare è stato proposto di eseguire il trattamento mediante radiofrequenza ecoendo-guidata – spiega il Dott. Fantin – È un approccio mini-invasivo che consiste nell’applicazione di calore nel tessuto neoplastico mediante un ago sottile inserito nello strumento endoscopico. L’ago ha una punta in grado di trasmettere calore e di ottenere l’ablazione termica della lesione da trattare. In pratica l’ago viene introdotto attraverso l’ecoendoscopio e, sulla base dell’ecografia, la lesione viene punta e trattata mediante calore».
Evidenze sempre crescenti della letteratura scientifica dimostrano trattarsi di una metodica sicura ed efficace da riservare a casi selezionati, nonché in grado, talvolta, di evitare l’intervento chirurgico. «È proprio quello che è successo in questa circostanza – conclude il Dott. Fantin – La paziente ha evitato un intervento di chirurgia maggiore, gravato senz’altro da maggiori rischi, e ha potuto eseguire il trattamento durante un ricovero di pochi giorni, senza complicanze. In Italia sono pochi gli ospedali pubblici che dispongono dell’attrezzatura e delle professionalità per applicare questa metodica, e lo IOV è tra questi».
